domenica 6 maggio 2007

Le principali tematiche della rappresentazione

Durante gli anni di Salò, alcune tematiche ricorrono spesso nella produzione fotografica dell’Istituto Luce: la rinascita delle forze armate, l’adesione dei giovani che si presentano ad arruolarsi nelle caserme, la militarizzazione delle donne, la ribadita fratellanza con i tedeschi. La censura continua a colpire l'Istituto, e così le immagini della fucilazione di Ciano e De Bono vengono occultate, e saranno ritrovate soltanto nel dopoguerra. Anche il culto del duce tende a scomparire. Il corpo di Mussolini, sempre più provato dai malanni, non permette più la sacralizzazione che per tutto il ventennio era stata incentrata su di lui.
In un'Italia ormai divisa in due, la fotografia del Luce viene spesso usata per cercare di attestare la contrapposizione fra «l’Italia invasa», dipinta sempre in drammatiche condizioni economiche e sociali, e «l’Italia repubblicana fascista», per celebrare così la Repubblica Sociale come un baluardo di civiltà. Tale propaganda di contrapposizione iconografica, più che alla fotografia stessa, è spesso affidata alle didascalie apposte su di essa. Ad attestare come gli americani stiano riducendo l’Italia in schiavitù, gli apparati della propaganda si appropriano anche di alcune fotografie di soldati americani. Ecco allora le fotografie ricordo dei soldati americani sorridenti, mentre si lasciano lustrare le scarpe da qualche sciuscià del meridione, divenire nei manifesti della Rsi un arcigno zio Sam dominare il mondo e schiavizzare la popolazione italiana. Ne nasce una battaglia iconografica fra la propaganda di Salò e quella statunitense, con fotografie e manifesti che vengono usati per demonizzare il nemico o celebrare se stessi.
Se la Liberazione di molte città non viene fotografata dall’Istituto Luce, ancora più negata è, infine, l’esperienza della Resistenza. Rare sono le fotografie del Luce a proposito, e per il più concentrate a raffigurare alcune azioni di rastrellamento e gli interrogatori degli uomini della X Mas, con l’intento di encomiare l’opera di polizia dei soldati. Ma la morte presto inizierà ad apparire nelle fotografie dei soldati e dei privati. Come nelle immagini private riprese nei Balcani durante gli anni precedenti, raffiguranti le esecuzioni di civili, e testimonianti i crimini di guerra commessi dagli italiani. Macabre scene di morte, che presto riempiranno anche le piazze delle città italiane.


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Dal marzo del 1943 ai «quarantacinque giorni» di Badoglio


La terribile e drammatica realtà della guerra inizia ormai ad affiorare oltre la patinatura propagandistica dei sorrisi con cui il fascismo cerca di negarla. La sistematicità dei bombardamenti anglo-americani, infatti, diviene di una tale consistenza che ormai non si possono più occultare i segni che la guerra sta imprimendo sempre più evidenti sulla realtà.
E la politica iconografica degli anni precedenti, tendente a rappresentare il bombardamento come una virile prova di coraggio, non aiuta certo la popolazione, che ormai vive stancamente nella paura di essere colpita. A questo punto, la macchina della propaganda inizia a simbolizzare il bombardamento come un crudele martirio impartito all’Italia dalla criminalità anglo-americana. Ecco allora l'inciviltà degli Alleati, che non rispettano i luoghi sacri e culturali della nazione. Ecco ancora apparire le fotografie dei bambini con gli arti martoriati da penne e cioccolatini esplosivi, che nelle didascalie si dice vengano lanciate dai piloti anglo-americani. Ed arriva il marzo degli scioperi nelle fabbriche, ma l'Istituto Luce non fotografa nulla di ciò. Ovviamente non può lasciare simili testimonianze, essendo stato incaricato di visualizzare la storia ufficiale e fascista dell’Italia. Ma nei sentimenti degli italiani non c'è più spazio per credere ai messaggi diffusi dalla propaganda.
E quando la radio annuncia l'avvenuta destituzione di Mussolini, la popolazione scende per le strade delle città. Cadono gli eblemi del regime, vengono abbattuti i fasci littori dai palazzi, i busti del duce sono trascinati per le strade. E gli operatori del Luce, che per tutto il Ventennio avevano ripreso le adunate oceaniche di Piazza Venezia e le acclamazioni popolari ai discorsi del duce, si gettano ora per le strade, questa volta, però, per fotografare il consenso della popolazione alla decisione di porre fine al regime fascista. Ma il Luce, inizia a riprendere anche i primi provvedimenti del nuovo governo Badoglio, i primi picchetti armati e l’affissione dei primi manifesti murali, l'inizio di una nuova censura.
Prima di essere trasferiti a Venezia, gli operatori del Luce fotografano le varie manifestazioni pubbliche del nascente Partito Fascista Repubblicano; ma la realtà della città inizia ad apparire in una delle ultime fotografie scattate dall'Istituto Luce sul suolo romano: l’immagine di una Roma ormai pattugliata dai soldati tedeschi, a vigilare «sulla linea di confine a Piazza San Pietro».

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Il trasferimento a Venezia

Avvenuta la liberazione di Mussolini, e costituita la Repubblica Sociale Italiana, nell’ottobre del 1943, si predispone il trasferimento da Roma dell’ente. Non tutti gli operatori decidono di andare al Nord, ma solo quelli più fedeli, e quelli attratti soprattutto dalle invitanti paghe.
L’organico del Luce è diminuito approssimativamente ad un centinaio di persone, ed alloggiato in varie pensioni ed hotel. Il Reparto Guerra non viene ripristinato, e sarà soltanto il servizio delle Attualità Fotografiche a rappresentare gli avvenimenti del periodo. Nonostante la riduzione dell'organico, il Luce produrrà qualcosa come quindicimila fotografie.
Nella metodologia della rappresentazione fotografica, esisteranno diversità e somiglianze fra la rappresentazione dei primi anni di guerra e la rappresentazione degli anni di Salò.
Ma, soprattutto, si amplieranno gli sguardi che fotograferanno gli eventi degli ultimi anni di guerra. Oltre agli operatori del Luce, inizieranno a fotografare sul suolo italiano anche i fotografi tedeschi delle Propaganda Kompanien, a seguito dell’esercito, dell’aviazione, della marina e della Waffen-SS. Anche gli operatori dei Combat Film, a seguito delle truppe statunitensi, testimonieranno l'avanzata degli alleati e la liberazione di molte città italiane, consegnandoci le fotografie dei primi giorni di Roma appena liberata.

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La rappresentazione del fronte interno

Iniziata la guerra, i fotografi dell'Istituto Luce si aggirano per le città italiane per produrre fotografie che servano a celare i problemi e le preoccupazioni della società, ed attestare come si possa tranquillamente convivere con il conflitto in atto. Accanto ad immagini di evasione, il Luce inizia a rappresentare un paese mobilitato a sostegno del regime. Attraverso un’estetizzazione del consenso, si cerca di fotografare e, nello stesso tempo, costruire ed aumentare il consenso stesso del fronte interno. Ecco così apparire le fotografie delle raccolte della lana e dei giornali, del ferro e delle campane, la marcia della Gil e l’adesione dei giovani al conflitto, l’impegno delle donne, i servizi sulle giornate delle donne postine o tranviere. Ma i primi bombardamenti, intanto, colpiscono le città. A nulla valgono le fotografie delle tolette di guerra o dei servizi di difesa antiaerea. Nulla di ciò tranquillizza la popolazione, che anzi ora inizia ad avvertire la paura della guerra. La propaganda, non potendo più oscurare o negare l'evidenza dei bombardamenti e delle carenze delle misure di difesa fino ad allora predisposte dal regime, cerca inizialmente di farli apparire come un’eroica prova di coraggio e forza della popolazione. Si allargano i fronti del conflitto, viene dichiarata guerra agli Stati Uniti e vengono inviati i soldati in Russia. I bombardamenti continuano implacabili a colpire le città italiane, ed impongono cambi e stravolgimenti nella propaganda iconografica. Lo stesso culto del duce ne viene colpito, ed ora si deve sempre più porre attenzione al consenso della popolazione.
Le direttive aumentano, ma non sempre bastano. I beni scarseggiano, ma nelle immagini ufficiali, le persone sembrano quasi non patire la fame, troppo impegnate a raccogliere rottami e giornali da donare alla patria.
E proprio al fine di negare la drammatica realtà economica e sociale del paese, il regime instaura la propaganda degli orti di guerra, per attestare la produttività italiana, ed allo stesso tempo enfatizzare ed incentivare la mobilitazione della popolazione. Il Luce fotografa i vari orti di guerra che riempiono gli spazi pubblici nelle città, fotografa una società intera che senza distinzione di classe accorre nei centri e nei parchi della città, prima a coltivare e poi a trebbiare il grano. Ma anche tale politica iconografica, tale coreografia di immagini, non basta ad aiutare una popolazione che inizia a convivere con fatica con le drastiche misure sui beni alimentari e con l’assenza di risorse. Il compito dell'Istituto Luce, tuttavia, rimane lo stesso: continuare a costruire l'immagine di un consenso che permei l'intera società, anche se, nella realtà, tale consenso sta diventando sempre più fragile. E molte fotografie lasciano già intravedere, oltre l'estetizzazione del consenso, frammenti di quella realtà che porterà alla caduta del fascismo.

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La campagna in Russia e la rappresentazione della sconfitta

Apertosi un nuovo fronte di guerra in Russia, gli operatori del Reparto Guerra, giunti al seguito delle truppe, perpetuano la metodologia visiva effettuata fino ad allora. In molte fotografie del Reparto si cerca di attestare la tranquillità del fronte. Il conflitto sembra lontano dai soldati italiani, sempre ripresi in situazioni di piena incolumità, e la sua stessa esistenza è semmai ricordata dalle immagini delle colonne di prigionieri russi, che ogni tanto marciano fra i soldati italiani e tedeschi. Le immagini delle battaglie vengono spesso ricostruite dopo gli eventi. Le fotografie cercano anche di simbolizzare e celebrare la sconfitta del comunismo, attraverso le immagini di soldati che posano accanto a statue di Lenin divelte e gettate a terra. Se la morte dei propri soldati viene negata, quella del nemico, invece, viene a volte ricostruita.
Nel frattempo, l'Italia perde anche le proprie colonie. L'Istituto Luce, a questo punto, è incaricato di fotografare le operazioni per il rimpatrio dei contingenti italiani in partenza dall’Africa Orientale. La fotografia tende a celare la delusione delle disfatte in Africa dell’esercito italiano, per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’immagine paternalistica del regime, prodigo a far rientrare i coloni incolumi in Italia. La guerra è ancora lontana nelle fotografie del Luce. I soldati sono ripresi fra le placide coste francesi; i coloni vengono fotografati in viaggi che sembrano vacanze. Ma la realtà è diversa. Così nelle fotografie del Luce, effettuate con l'intento di testimoniare gli spettacoli promossi sui fronti dalle organizzazioni del regime, spesso inziano ad affiorare, sui visi di molti soldati, i segni della stanchezza per una guerra non sentita come propria.


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La dichiarazione di guerra

Mussolini, nella sua divisa in orbace e con berretto rigido, si è da poco affacciato dal palazzo di piazza Venezia per annunciare l’entrata in guerra dell’Italia contro le nazioni plutocratiche. L'Istituto Luce riprende l’avvenimento. Gli operatori scattano diverse fotografie a Mussolini durante il suo discorso, ed anche alla folla assiepata nella piazza. Si costruisce l'immagine di un consenso alla guerra, di una popolazione che accorre ad acclamare le decisioni del duce. Ma in alcune fotografie, si intravedono dettagli di volti e sguardi, che lasciano scorgere anche una realtà di dubbi ed incertezze. Un consenso dettato da reale animo belligerante, o forse soltanto la rassegnazione ad una decisione ormai avvertita come ineluttabile, rafforzata dalla speranza che si tratti di un conflitto breve?
Analizzando le relazioni fiduciarie riportate in quel periodo, si possono confrontare quelle immagini all'opinione pubblica, inserendole nel contesto storico e culturale, ed andando così a dispiegare i meccanismi psicologici ed i sentimenti che animano la popolazione di un’Italia ormai entrata in guerra. Sentimenti che variano sensibilmente nel corso dei mesi, e dopo l’entrata in guerra, anche la politica iconografica di Mussolini, che per anni aveva imperversato in Italia, inizia a subire dei contraccolpi nell’opinione pubblica

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L’organizzazione del Reparto Guerra

Qualche settimana prima dell'ingresso dell'Italia nel conflitto mondiale, l'Istituto Luce costituisce un apposito Reparto Guerra, composto da numerose squadre di operatori cinematografici e fotografi, che vengono dislocate presso le diverse Forze Armate e sui diversi fronti, pronte così ad effettuare la documentazione del conflitto venturo. Intanto, durante i mesi di non belligeranza, il Minculpop predispone la politica iconografica su come la fotografia debba sensibilizzare la popolazione all'evenienza della guerra. Le disposizioni alla stampa, ed i rapporti ai giornalisti tenuti da Pavolini, vanno, così, ad indicare quali siano i perni del regime nella rappresentazione ufficiale del conflitto. Un'estetica della guerra, che si ricollega alle precedenti forme di rappresentazione iconografica che hanno accompagnato i conflitti del Novecento.
La fotografia scongiura l’idea della morte e del dolore, non documenta la morte nella sua oggettiva atrocità, nel suo dolore, ma semmai celebra la gloria che tale morte apporta al soldato. La fotografia deve tranquillizzare il fronte interno, mantenere sempre più saldo lo spirito nazionale, stringere ed ampliare il sostegno ed il consenso del paese alla politica del regime. Non deve esistere un'immagine dolente dei feriti. Ma a volte i fotografi del Luce non interiorizzano pienamente simili direttive, e così la realtà dai fronti emerge tangibile nelle fotografie, seppure in piccoli dettagli. A questo punto, interviene la censura a ripristinare il quadro iconografico, entro cui gli operatori devono attuare la rappresentazione del conflitto.


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L’Italia entra in guerra

Abbandonata la non belligeranza, i fotografi del Reparto Guerra seguono i soldati impiegati sui vari fronti del conflitto, testimoniando in diverse occasioni le carenze e l’impreparazione militare italiana.
Ma le didascalie, apposte sulle fotografie pubblicate, cercano di negare le evidenti difficoltà italiane, per propagandare una realtà ed un messaggio politico di ben diversi significati.
Simili fotografie, spesso, vengono strumentalizzate non soltanto per attestare ed enfatizzare la tenacia e la forza di volontà delle truppe, impegnate a combattere contro ogni sorta di ostacolo, ma anche per cercare di evidenziare un’arretratezza nelle vie di comunicazione del paese invaso. Il soldato italiano, così, viene rivestito ancora una volta dall’immagine retorica del portatore della civiltà, della cultura, della tecnologia in un paese arretrato, instaurando una politica iconografica estesa a tutti i fronti.
Ma arriva l'inverno delle sconfitte, le disfatte in Africa, il fallimento della guerra parallela. Le fotografie testimoniano le divise rotte e gli sguardi stanchi dei soldati, ma queste immagini vengono censurate ed i fotografi richiamati a rapppresentare la guerra secondo i dettami del regime. Si ampliano gli sguardi sul conflitto, ed oltre alla fotografia del Luce, iniziano a comparire le prime immagini effettuate dagli stessi soldati o dai fotografi privati del luogo.
La fotografia privata spesso interiorizza le modalità dettate dalla propaganda, ma spesso scalfisce l'immagine ufficiale del conflitto, mostrando una realtà diversa da quella raccontata dalla propaganda. Il Reparto Guerra continua a produrre immagini che attestino la tranquillità delle truppe italiane, con scene di vita dalle retrovie. Il conflitto è simulato o ricostruito successivamente all'evento. I rottami di aerei abbattuti, indicati come appartenenti al nemico, attestano l'avvenuta battaglia e cercano di veicolare il messagio della superiorità miltiare italiana.

Ma ben presto, anche tale forma di rappresentazione non è più sufficiente per dimostrare l’imbattibilità dell’esercito propugnata dal regime fascista. Emerge la realtà delle sconfitte, e conseguentemente, la necessità degli aiuti e dell'intervento da parte dell'esercito tedesco per risollevare gli esiti delle battaglie. La fotografia, a questo punto, deve nascondere l’inferiorità militare italiana e la sua subordinazione dall'alleato tedesco, e semmai esaltare l’amicizia fra i due popoli e la fratellanza fra i due eserciti. E proprio allo scopo di celebrare l'unione fra l'Italia e la Germania, iniziano ad essere diffusi francobolli e cartoline con sopra impressi i ritratti di Mussolini ed Hitler.

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La fotografia fra documento e propaganda

Tenendo presente che ogni fonte non può mai essere oggettiva, poiché vive dell’interesse e delle domande dello storico, la fotografia dell’Istituto Luce, sicuramente, si anima di un’ambiguità strettamente connessa all’istituto stesso ed alla sua natura di essere, contemporaneamente, sia veicolo ed organo della propaganda, sia testimone concreto del periodo storico in cui è stato creato.
Partendo dalle constatazioni di Roland Barthes, tuttavia, possiamo andare a riscoprire nelle fotografie del Luce alcuni elementi, che le rendono di primaria importanza nello studio del regime fascista, non soltanto divenendo fonti per uno studio sulla propaganda visiva del regime, essendone state fra i principali supporti, ma anche perché lasciano intravedere alcuni interessanti dettagli sulla realtà sociale dell’epoca.
Per molti italiani di allora, la fotografia del Luce rimane l’unica immagine diffusa e disponibile sui giornali, e quindi l’unica rappresentazione della realtà, che essi possano percepire al di fuori della realtà stessa. Pur essendo lo strumento per edificare il monumento visivo dell’Italia fascista, la fotografia del Luce porta più volte in se, alcuni indizi che, oltre l’aspetto patinato della propaganda, ci lasciano così intravedere la realtà sociale di quegli anni.
Attraverso la fotografia dell’Istituto Luce, ci possiamo trasferire negli occhi di chi ha prodotto quella data immagine, svelandone così l’intenzionalità soggiacente alla modulazione creativa, ma ancor più importante, noi possiamo entrare negli occhi di chi quella data immagine l’ha vista poi, riprodotta sui giornali, cercando di percepire la stimolazione di pensiero che la fotografia ha suscitato in lui.
La fotografia del Luce, allora, si eleva a divenire il trascrittore della percezione visiva, oltre che attestare la valutazione della realtà italiana che il Luce, secondo le direttive del regime, effettuò nel corso della sua esistenza.


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I rapporti con il Minculpop


Nell'analizzare le tematiche fotografiche elaborate e diffuse dall'Istituto Luce, è di notevole importanza effettuare uno studio sui rapporti fra l'Istituto stesso ed il Ministero della Cultura Popolare (Minculpop). Se i decreti emessi negli anni predispongono la vigilanza del Minculpop sul Luce, le disposizioni del Minculpop delineano invece come si realizzi tale controllo sulle fotografie prodotte. Le disposizioni, infatti, agiscono con una duplice forma di azione, sia effettuando delle vere e proprie commissioni, affinché vengano realizzati servizi fotografici su determinati argomenti; sia agendo, in secondo tempo, sugli organi di stampa, incidendo direttamente sulla gestione, sulla scelta, sulla collocazione della fotografia, instaurando quella che Cannistraro ha definito la fabbrica del consenso.
Le disposizioni emesse negli anni dal Minculpop, a tal punto, rappresentano le premesse ideologiche e le finalità propagandistiche delle fotografie non soltanto del Luce, ma spesso anche dei fotografi delle altre agenzie private, che per evitare di effettuare immagini che poi saranno colpite dal vaglio della censura, spesso si adeguano a tali direttive.
Il contenuto di simili disposizioni, così, assume una notevole importanza per analizzare e comprendere quale sia stato il ruolo della fotografia nell’apparato propagandistico del regime fascista, essendo il Minculpop non soltanto il censore di tali immagini fotografiche, ma un vero e proprio committente dei temi ufficiali e dei messaggi visivi che l’Istituto Luce deve tradurre attraverso la sua rappresentazione fotografica.


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sabato 5 maggio 2007

Nascita e ruolo dell'Istituto Luce

Attraverso uno studio della corrispondenza di Mussolini, delle circolari e dei decreti emessi in quegli anni, si arriva ad individuare non soltanto quale sia la struttura dell'Istituto Luce, ma soprattutto, quale sia il ruolo che gli viene preposto dal regime fascista all’interno della fabbrica del consenso. Fondamentali sono il regio decreto del 1925 e quello successivo del 1929, che inquadrano l'Istituto Luce nella macchina della propaganda fascista, ed indicano il suo ruolo ufficiale nella produzione e diffusione di fotografie aventi carattere didattico, educativo, propagandistico, oltre che nella documentazione ufficiale degli avvenimenti nazionali. Ma l'Istituto Luce, ben presto, diverrà uno strumento importante della propaganda iconografica fascista, detenendo un importante ruolo sia nella diffusione del culto del duce, sia nella costruzione del consenso del paese al regime fascista.
Una volta assunto il compito di effettuare la documentazione storica delle imprese e delle opere del regime, l’Istituto Luce edifica così il monumento visivo dell’era fascista, ed alimenta in continuazione l’immaginario della popolazione, archiviando e documentando soltanto quegli avvenimenti che sono, appunto, reputati degni dal regime fascista di appartenere alla storia.

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Bibliografia del libro

La bibliografia del volume è stata suddivisa in quattro distinte sezioni, per meglio individuare i campi di studio dei lavori indicati. La prima sezione, denominata Storia Generale, è composta da tutte le opere che hanno analizzato il periodo storico del conflitto, oltre ad indicare alcuni interessanti studi sul fascismo e sul contesto culturale in cui tali fotografie sono state prodotte.
Nella sezione Storia e critica della fotografia vengono indicati tutti quegli studi che, appunto, costituiscono la base fondamentale per studiare la natura della fotografia ed il suo controverso rapporto con la storia.
La sezione Storia dell'Istituto Luce comprende i più importanti studi, che nel corso degli anni, sono stati condotti sulla storia e sulla produzione dell'Istituto Luce. La maggior parte dei testi analizza la produzione cinematografica dell'Istituto, ma rimangono sempre opere fondamentali per analizzare l'inquadramento del Luce nella macchina della propaganda fascista.
La bibliografia, infine, si conclude con la sezione Volumi fotografici, che comprende tutte quelle opere la cui composizione è prettamente fotografica, anche se spesso corredata da importantissimi saggi di critica e storia della fotografia.
A seguito della bibliografia, nel libro è presente anche un elenco degli archivi fotografici nazionali ed internazionali che si possono consultare online.

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