sabato 23 febbraio 2008

La politicizzazione della morte


Arriva la morte degli italiani nelle fotografie. Se l'esistenza dei partigiani viene ancora ignorata nelle fotografie dell'Istituto Luce, la loro morte è invece ostentata nelle fotografie sia delle squadre fasciste, sia soprattutto degli operatori delle PK. Saranno loro a testimoniare le stragi e gli eccidi perpetrati contro i partigiani e la popolazione durante i mesi di Salò.
Le fotografie appartengono ad una più ampia politicizzazione della morte. Il corpo del partigiano o del civile viene lasciato esposto nelle strade, appeso con ganci da macellaio alle inferriate dei cortili, impiccato ad alberi e lampioni. Una macabra messa in scena della morte, con la quale non si uccide soltanto il corpo della persona, ma si demonizza la sua figura, si calpesta la sua memoria, si denigra la sua umanità, si violenta la sua dignità. Sono fotografie efferate, cruente, ma che assumono una perversa logica politica.
La morte del nemico ucciso, ostentata come monito alla popolazione ed ai partigiani, affinché si astengano dal compiere alcuna azione politica o di ribellione contro l'occupante tedesco, pena la rappresaglia contro i civili del luogo o gli esponenti della Resistenza.
Le fotografie che riprendono la morte del nemico servono anche a confermare, sia a se stessi sia alla popolazione, la propria intatta capacità di dominio, l'efficienza dei propri apparati militari e repressivi. Ma rivelano anche la rabbia e la violenza di chi sa ormai che sta perdendo la guerra. Ecco così le drammatiche sequenze dell'esecuzione di Villamarzana, le cruenti fotografie dell'impiccagione in piazza di Ferruccio Nazionale, le tragiche sequenze dei corpi abbandonati a piazzale Loreto, cadaveri stesi sul selciato come monito per la popolazione che passa loro accanto, e vigilati dai soldati della Muti.
E se la strage delle Fosse Ardeatine è stata condotta in silenzio, per occultare alla popolazione lo scempio perpetrato, saranno le immagini della scoperta dei corpi a testimoniare l'efferatezza commessa, con quei cadaveri ammucchiati a piramide uno sopra l'altro e le braccia legate dietro la schiena con fili di ferro. Le stragi si susseguono, ma alla fine arriva la Liberazione. Ma non è il Luce a fotografare le scene di festa nelle strade. Sono gli operatori dei Combat Film, sono i fotograti della Publifoto, ad aggirarsi per le strade a fotografare i momenti di gioia della popolazione, ma anche le scene di violenza contro i collaborazionisti fascisti. E sono sempre loro, a piazzale Loreto, a riprendere le crude immagini dell'impiccagione di Mussolini e della Petacci, a fotografare il corpo del duce, per anni osannato come prototipo di virtù da emulare, ora divenire il bersaglio dell'odio della popolazione, che scarica contro di esso, con tragica violenza, la rabbia e le frustrazioni degli anni di guerra.



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1 commento:

Stefano Mannucci ha detto...

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